Link: in inglese, il testo di Eugenio MICCINI
Claudio Francia o l'entomologo del sentire comune
C'è un testo, una raccolta poetica pubblicata nell' 85, dove si può rinvenire già, nel semplice passo della poesia lineare (più semplice di quello multiplo e intersecante della poesia visiva), la peculiare qualità del tono di Claudio Francia; il suo gusto, meglio la sua necessità, di frasi nitide e di sicuro effetto, non importa se prese di peso (di scomodare il verbo rubare non vale la pena per questo genere di sostanze linguistiche di cui nessuno si è mai preoccupato di rivendicare la proprietà) dalla cosiddetta saggezza popolare, o ignoranza condivisa (formula molto più efficace e interessante che subito si evince prendendo il luogo comune dalla parte inversa; devo l'idea ad un amico che mi sta specialmente a cuore); frasi scandite con attitudine fredda, nessuna concessione, nessuno sfondo di significato possibile, niente, esibite lì, sulla superficie di carta a dire esattamente quello che vogliono dire e quello che ben mettono in luce della povertà di grandi gesti, grandi soluzioni e grandi idee che intride la nostra vita e il nostro parlare.
Non è tempo di epica, e quanto alla lirica, meglio fare attenzione alle circostanze, non solo esistenziali (che già quelle basterebbero abbondantemente) ma anche storiche. Ma per Claudio Francia e il suo "spirito" è sempre tempo di ironia, tempo di sopravvivenza in questa forma di linguaggio. “ Non c'è verso di scriverne uno ” esordisce, per esempio. “ Ora c'è un tempo in cui il punto di vista / è rintracciabile in tutti gli effetti personali di ognuno di noi ”, pare di sentire Günter Eich in Inventur, una delle sue poesie più precoci e più essenziali, emblema del Gruppo 47 agli esordi, ben centrata nel mezzo di un lager per militari della Wehrmacht sotto il controllo americano, nel cuore della Pallida Madre rischiarata dalla ancor più pallida luce dell'estate 1945. Ma se un "punto di vista" certo era già un lusso insperato e fuori luogo in quel campo troppo basic per consentire varianti individuali, adesso invece c'è spazio per tutto il superfluo, c'è appunto la nostra illimitata possibilità di comprarci il nostro punto di vista, trasformandolo in cose di cui a nostro piacere ci circondiamo, come se fosse un merito, un criterio di distinzione. E nel momento in cui, nell'impossibilità di cambiare ancora qualcosa di noi stessi, quel punto di vista arriviamo a subirlo, ebbene il fenomeno diventa prontamente oggetto di studio, roba da entomologi del sentire comune, che sotto la lente d'ingrandimento della parola mettono l'infinitamente immensa e infinitamente replicata banalità delle cose. Banali, nemmeno mortificanti, le scelte politiche alla luce di una considerazione distaccata. “ Ora che i cancelli dei manicomi sono aperti / è stata posta una pattuglia di poliziotti ad ogni angolo di strada / con l'ordine di arrestare chiunque alzi la cresta / e canti da gallo ”.
Allora non resta che cantare, non da gallo però, e non da cigno, non da pappagallo e nemmeno da corvo o da usignolo, cantare piuttosto da baritono, che nell'opera mozartiana è, in genere, la voce che meno facilmente cade in preda a soprassalti di passioni qualunque, la meno permeabile a euforie vane e ingiustificate. Così canta Claudio Francia, che da baritono presenta anche, attualmente, un ottimo e convincente physique du rôle. Fatta piazza pulita degli slanci lirici, di quella specie sempre troppo gratuita di sentimenti che già destava la perplessità di René Magritte (quando scriveva: "la poesia non si fa con i sentimenti; si fa con le parole"), sospese, persino, ad un attaccapanni nell'armadio le concettualizzazioni troppo verbose e astratte, davanti a Claudio Francia si è spalancato l'immenso e tutto sommato non troppo praticato campo delle cose; quelle cose che ancora più gravi e reali appaiono in presenza della loro effigie, della loro immagine, che già da un paio di decenni abbondanti la poesia visiva, o tecnologica, o totale, o come si voglia chiamarla nelle sue svariate versioni e sottospecie fiorite fra gli anni Sessanta e Ottanta, usava porre sistematicamente in rotta di collisione con la parola e la sua funzione di costruzione del senso o dei sensi. Diciamo allora che quella di abbracciare la poesia totale per Francia è stata una scelta naturale, perfettamente consonante con il suo gusto per un "fare di parole", un fare che tende a modellarle fino a estrarne l'oggetto latente, l'oggetto implicito.
E c'è della discrezione, nel nostro poeta, una disponibilità facile a lasciar parlare l'altro, il semplice e spontaneo disporsi delle situazioni una in fila all'altra, mettendone semmai in luce l'aspetto più divertente o persino più leggiadro; un'attitudine emersa appieno nel video Dalla poesia visiva all’arte totale realizzato due anni fa raccogliendo il lavoro, la parola e l'atteggiamento di amici e colleghi (dall'amato Adriano Spatola a Eugenio Miccini, a Julien Blaine, …) con un'imparzialità quasi più appropriata per un esecutore di documentari che per un regista onnipotente. Per questo dal racconto emergono veramente e sobriamente attitudini, modi di dire, di offrire la parola con pochissimo condimento; sino al delizioso ritaglio finale, che Claudio Francia ha riservato per sé, e che consiste nel far parlare il ghiaccio, lettere di ghiaccio sospese al sole che, sciogliendosi, liberano altre lettere contenute nelle prime il cui compito è di completare il "messaggio". Dalla frase di partenza, "time goes by", si estrapola infatti "poetry remains" che bellamente si gongola all'aria mossa, come un ragazzino allegro. Intendiamoci: non che siano sempre così idilliache, le circostanze e i desideri.
Ama il porno-soft, per esempio Francia, come lo ama e l'ha amato Lamberto Pignotti, senza quell'ossessiva sistematicità certo, e con uno sguardo tutto sommato più gaudente, divertito e, meno preoccupato di assicurarsi comunque un retrogusto di critica sociale per allontanare a priori il, fondatissimo, sospetto di edonismo. E perché no, d'altronde ? Se c'è qualcosa di evidentemente puttanesco nella gestione, mettiamo, degli interessi commerciali o economici di qualcuno o qualcosa, perché non mostrarlo con un procace "great nude" (american o no ha poca importanza in questo caso) prelevato con tutto il suo peso specifico da "Play-boy" o simili ? E a rifinire il tutto, parole che ci stanno, si prestano al gioco. Per esempio “ Pour une nouvelle eurotisation du monde ”, cui collabora anche il simbolo della nuova moneta. Oppure: bionda disponibile su un letto di dollari: “ Doll $ are fucking up all around the world ”.
Facile, può darsi. Claudio Francia non ama metterla sul difficile, ma l'effetto non è sempre e necessariamente così plateale. La serie, Io organizzo le stelle ma non le conseguenze (sotto il cielo francese), per esempio, si concede di lavorare quasi fra le righe di una e diverse significazioni possibili, senza negarsi spazio e attenzione al colore, alla composizione persino.
Anche nell'inesauribile serie (per Claudio Francia quasi ogni lavoro è pretesto e punto di partenza per un altro possibile) di poesie maccheroniche l'artista scherza sì con la circostanza di essere un "italiano a Parigi", un emigrato di belle speranze che porta con sé di buon grado tutti quei clichés che senza dubbio alcuno tutti saranno prontissimi ad attribuirgli, e insieme non lesina doppi e tripli sensi: poeti maccheronici, siamo, sciupalingue, disadattati alla nobiltà del codice, del genere, affondiamo nella barbarie delle nostre cattive abitudini, mangiamo spaghetti, ce ne riempiamo la bocca e ingrassiamo anche le parole che ci attraversano, che schioccano fra i nostri palati e le nostre lingue. Infine non si rinuncia al gusto per l'oggetto: eccoli, quindi, a fare bella presenza di sé, maccheroni, rigatoni, farfalle, fusilli e tutte le varianti che Barilla o De Cecco sfornano per il mercato locale o straniero, paste e pastine trattate come perle preziose per montare arazzi e gioielli, divertissement di incallito collagista, che non ha perduto per strada la facoltà di divertire, magari, anche gli altri.
Cos'altro si può, si deve chiedere a un bravo poeta ? Forse di dimostrare che la sua lingua, ancorché maccheronica, sia davvero viva. E la poesia visiva lo è, lo è pienamente soprattutto quando non si preoccupa di classificarsi, di distinguersi e di definirsi in modalità troppo rigide. Quando, per esempio, affronta ogni giorno le risorse e i rischi di una forma espressiva nuova e diversa, come in realtà questi poeti hanno fatto e hanno voluto fare sin dai primissimi passi del loro cammino particolare, all'inizio degli anni Sessanta. Ma, tutto ciò, non banalmente a caccia della novità ad effetto, bensì per meglio aderire al mondo nelle sue vibrazioni, nei suoi scivolamenti, nelle sue metamorfosi intrecciate alle nostre. Per esserci, insomma, con una lingua che sappia sempre dire, costi quello che costi; anche la provvisoria rinuncia a quello che impropriamente e interessatamente in genere si definisce "stile" e che troppo spesso non è altro che un mezzo per favorire la banalità del linguaggio visivo e lo scivolamento della creatività verso lo stereotipo pubblicitario.
MARTINA CORGNATI
Les-basics-nfrance.com
PHP, Mysql, 20 POPS, Webmail hébergement web à partir de 0.83 EUR / mois. |